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domenica 27 ottobre 2013

"Prigioniero di un altro"



Nel 2009 ho partecipato al concorso "Granelli di Parole" indetto dalla Casa Editrice Kimerik e il mio racconto breve, Prigioniero di un altro fu selezionato e inserito nell'Antologia del concorso, dal titolo "Racconti di autori italiani" 2010.


Di seguito, vi posto la prima parte del racconto.




“La torcia, oddio la torcia! Non posso averla dimenticata, dannazione!”.
Lorenzo frugò nelle tasche del giubbotto con un certo nervosismo, non volendo neppure immaginare di aver dimenticato la cosa più importante in quella notte senza luna.
Ma, un istante dopo, un rigonfiamento nella tasca sinistra fece tirare un sospiro di sollievo al ragazzo che, subito, afferrò la torcia e, con un misto di ansia e timore, si decise a percorrere il vialetto lastricato che dal marciapiede conduceva ad una vecchia villetta abbandonata all'estrema periferia della città.
Quella villetta, dall'intonaco verde acqua, con i balconi di marmo, circondata da un parco dove, ormai, le piante crescevano selvagge, aveva sempre attirato lo sguardo di Lorenzo e popolato i suoi sogni e i suoi incubi.
Lorenzo, da quando riusciva a ricordare, era sempre stato ossessionato da quella villetta e, da bambino, aveva trascorso interi pomeriggi, nascosto dietro i cespugli, a fissare quelle finestre, quei balconi così severi e neanche troppo belli, quella facciata verde acqua e a chiedersi come mai quell'edificio attirasse così tanto la sua attenzione da sognarlo anche di notte.
Quante volte il ragazzo si era svegliato di soprassalto la notte dopo aver sognato di trovarsi dinnanzi a quella villetta e di non essere più capace di muoversi, tanto era il fascino pericoloso emanato da quella costruzione, quante volte aveva urlato nel cuore della notte per aver visto, in sogno, la villetta bruciare e aver desiderato di gettarsi nel fuoco per non abbandonare quei muri ma seguirli anche nella fine, quante volte, tornando da scuola, aveva rallentato il passo dinnanzi al cancello della villa e aveva spiato oltre la siepe, tormentato dal desiderio di vedere, di osservare, di carpire ogni segreto di quell'edificio.
Gli anni trascorrevano, Lorenzo cresceva ma l’ossessione per quella villetta, che neanche lui era mai riuscito a spiegarsi, non accennava a diminuire e il giovane ormai conosceva a memoria ogni cosa riguardo quell'abitazione, compresi gli inquilini che si erano avvicendati negli anni.
L’ultimo era stato un vecchietto che, nonostante dovesse essere ricco per poter permettersi una simile dimora, trascorreva tutto il giorno in solitudine nel parco della villa a curare le piante e mai era stata data una festa in quella sontuosa abitazione da quando l'anziano signore ne aveva preso possesso.     
Chi avesse abitato in quella villa negli anni a venire, era cosa sconosciuta a Lorenzo: il ragazzo era andato a studiare fuori città e si era ripromesso di non rivolgere più il pensiero a quella dimora che aveva cominciato ad inquietarlo non poco, calamitando il suo sguardo e i suoi pensieri nel corso del tempo.
Ma, ora, in quella fredda sera di novembre, mentre spirava un venticello freddo e piccole gocce d’acqua già calavano sulla città, Lorenzo non aveva più saputo resistere e si era finalmente deciso ad affrontare il “mistero” di quella villetta che non vedeva da più di un anno, ormai.
E ora che il giovane camminava, con circospezione, lungo il vialetto che conduceva alla villa, si rendeva sempre più conto che era come se qualcosa volesse attirarlo all'interno di quella dimora e che per lui non era possibile distogliere lo sguardo da quei muri, da quelle colonne dinnanzi al portone, da quei balconi.
Respirando profondamente, Lorenzo si avvicinò al portone ormai sfondato e, così da vicino, si rese conto che ormai la villa versava in uno stato di abbandono totale; con attenzione e cercando di illuminare il cammino con la torcia, il giovane salì i pericolanti scalini che conducevano al portone e, senza più esitare, varcò la soglia facendosi strada tra mille detriti.
La debole luce della torcia, vinta ad una lotteria, a fatica permetteva a Lorenzo di vedere dove metteva i piedi; il ragazzo, dopo aver dato una sommaria occhiata a quello che, una volta, doveva essere l’ingresso (e ora ingombro di detriti, sedie rovesciate a terra, polvere ovunque, vecchi candelabri e soprammobili  in pezzi), svoltò a destra e si ritrovò in una camera non molto grande ma che sembrava essere stata finemente arredata.
Prima che Lorenzo potesse dirigere la torcia in ogni angolo per ispezionare meglio il posto dove si trovava, un camion passò accanto alla villa, nella strada di fronte, e, il fascio di luce dei fanali, illuminò, per un istante, a giorno la stanza e al giovane, inorridito, apparve davanti agli occhi, accanto all’armadio, la sagoma di un oggetto (dalla sagoma inconfondibile) che non poteva essere altro che una lapide; e su di essa sembrava scritto un nome con caratteri gotici e di colore rosso sangue, il nome di un ragazzo: Luigi.
E, non appena Lorenzo, scosso, puntò la torcia in ogni angolo della stanza per rendersi conto di dove si trovasse, vide che quella era stata proprio la camera da letto di un ragazzo: tra i detriti e la polvere si scorgevano ancora vecchi poster che penzolavano ormai dai muri, un pallone solitario e sgonfio, vecchie automobiline da collezione su una mensola corrosa dai tarli e una cornice a terra con una foto, ormai sbiadita, di un giovane che sorrideva in tenuta da calcio.
Lorenzo, che cominciava a sentire qualche brivido, si decise a puntare la torcia nell’angolo in cui, poco prima, aveva scorto la lapide e, con grande sgomento e sorpresa, vide che, in realtà, non vi era nessuna lapide.
Il giovane, a quella scoperta,  non sapeva se sentirsi sollevato oppure angosciato e la risposta a questo dilemma gli venne poco dopo quando cominciò a sentire sinistre voci e sadiche risate turbinare tutt’intorno a sé e la paura lo assalì con la sua gelida morsa.
Lorenzo girò sul rotondo più volte nel tentativo di individuare il punto esatto da dove provenivano quelle sadiche e infernali risate ma tutto fu inutile perché le voci e le risate sembravano riecheggiare ovunque.
Poi, a paralizzare del tutto il ragazzo nel cuore della notte in quella villa abbandonata, giunse, come un’eco lontano, una lugubre cantilena cantata da una voce di ragazzo: “Di nuovo nel mondo…Ma non con il mio corpo”.
Questa lugubre e misteriosa cantilena sembrava venire da lontano, da un punto imprecisato e, sebbene debole e distante, provocò, per le sue parole sibilline, un’angoscia terribile in Lorenzo che, seduta stante, decise di allontanarsi da quella stanza; prima di uscire dalla villetta, però, vinto dalla curiosità, il giovane fece un rapido giro delle altre stanze del pianterreno e, con sgomento, vide che, nonostante il disordine, i detriti e la polvere, tuttavia la villa sembrava essere stata abbandonata da poco e all'improvviso, come se i proprietari fossero svaniti nel nulla.
Tutti gli elettrodomestici, i divani, i televisori, tutto c’era ancora e il giovane notò, persino, sul tavolo della cucina, una scatola di caffè e una bottiglia d’acqua.
Perplesso e ancora turbato dalle enigmatiche parole della cantilena, il giovane, alle prime luci dell’alba, uscì di fretta dalla villa e, una volta arrivato nel vialetto, si scrollò di dosso la polvere e con essa immaginò di scrollare via da sé anche quella sinistra esperienza.
Frastornato e confuso, Lorenzo uscì dal parco della villa chiudendosi dietro il pesante cancello, che gli ubbidì a fatica con sinistri cigolii, e, prima di mettere piede sul marciapiede, il giovane rimase ancora qualche istante immobile con la mano aggrappata alle inferriate ormai coperte di ruggine.
Tutto ad un tratto sentì avvicinarsi di corsa, un gruppetto di persone alle prese con il primo jogging mattutino, tre ragazzi e due ragazze che, non appena passarono accanto a lui, dopo averlo squadrato con occhi attoniti, gli dissero in coro: “Ciao Luigi, ma sei qui?”.
Lorenzo non ebbe neppure il tempo di reagire che subito i giovani, ancora più confusi, mormorarono tra loro “Ah, no! E’ un altro ragazzo!” e continuarono la loro corsa."......


© Flavia Cantini

venerdì 25 ottobre 2013

Come nasce un mio racconto/romanzo



In questo post voglio rendere partecipe il lettore di come nasca il mio atto creativo.


Innanzitutto mi lascio guidare dall'ispirazione che può manifestarsi sotto forma di un'idea che ritorna più volte, un flash, un'immagine, una frase che mi balena in testa all'improvviso, il nome di un personaggio, una vicenda reale o fantastica. 
E basta questo primo elemento, anche se minimo, a far nascere in me il desiderio di dare vita a una nuova storia che porti dentro sé questa base. 
Inizia dentro di me un'attenta riflessione, un continuo flusso di pensieri (che lascio più che altro liberi di associarsi in maniera autonoma e imprevedibile, quasi da flusso di coscienza) che mi portano, piano piano, a mettere insieme la struttura portante del nuovo racconto e/o romanzo. 
Allora, una volta raccolto e visualizzato tutto il materiale necessario (idea di fondo, trama principale, eventuale sottotrama, protagonista, personaggi principali e secondari...) inizio a scrivere seguendo a grandi linee una scaletta (da cui però, in corso d'opera, posso anche distaccarmi se le esigenze della storia si incanalano in modo imprevisto). 
E la scrittura avviene quasi da sé, mi sento il tramite della storia e dei personaggi, sento come se fossero loro a dirigere gli eventi e il mio atto creativo, è come se tutto fosse già nella mia mente e io dovessi soltanto permettergli di vivere trasponendolo su carta. 
L'ispirazione per me è fondamentale, è la mia guida e per stimolarla penso molto, fantastico, sogno ad occhi aperti, mi guardo attorno, osservo con attenzione ciò che accade, le persone, ascolto ripetutamente la musica, leggo tantissimo, rifletto e appunto ogni sensazione o minima idea che mi sovvenga.


© Flavia Cantini

lunedì 21 ottobre 2013

Il romanzo incompiuto


Penso che quasi ogni scrittore abbia, da qualche parte, il suo romanzo incompiuto.

Io, il mio romanzo incompiuto, Incubo, lo scrissi nel 2006, a diciotto anni.
Non avevo intenzione di lasciarlo incompiuto ma così è stato, sono arrivata poi ad un certo punto della trama e ho scoperto che doveva terminare lì, che c'era qualcosa, appunto, d'incompiuto, e che quella storia avrebbe avuto il suo finale, sì ha un finale, ma la parte centrale sarebbe rimasta per metà non terminata.


Un romanzo su un tema difficile, la follia, la pazzia, un romanzo che mi è sgorgato da dentro di getto, così, nell'estate 2006 e che portavo avanti in pomeriggi solitari in un casolare di campagna perché mi trovavo a mio agio a scrivere là, sola con la natura e il silenzio.


Un romanzo in cui io era il tramite del protagonista, io ero la penna attraverso cui, quel protagonista che sentiva salire la follia dentro sé, si raccontava al mondo che non riusciva a comprenderlo.
Un romanzo scritto quasi sotto dettatura, a tinte forti, un romanzo folle, appunto.


La mia prima prova di scrittura, una palestra, il momento in cui, per la prima volta, la mia vena creativa è sfociata nella narrativa e ho capito che, da lì in poi, avrei scritto narrativa.


© Flavia Cantini

domenica 20 ottobre 2013

Parliamo un pò del mio nuovo romanzo


Ecco, parliamo un pò del mio nuovo romanzo che dovrebbe uscire in primavera.
Tutto cambiato, nuova casa editrice, volume unico, rimane il genere: fantasy.
E un agile romanzo di veloce lettura.

Vuole rappresentare il mio "reinserimento" nel mondo della scrittura dopo l'esperienza, positiva e negativa, della pubblicazione dei primi due volumi di una trilogia fantasy che, a oggi, per svariati motivi, è rimasta incompleta.

Questo è stato un'esordio, un tentativo ma non mi ha appieno soddisfatto, non ha reso bene l'idea di quanto io ami la scrittura e di cosa io riesca a scrivere.

Esiliato sulla Terra, così dovrebbe chiamarsi, è un romanzo che ho scritto nel 2009 e poi rivisto nel corso degli anni.

E' il romanzo, a oggi, a cui tengo di più, quello che mi emoziona ogni volta che lo leggo, come se non l'avessi scritto proprio io.


Un romanzo di genere fantasy che unisce agli elementi fantastici tematiche psicologiche ed emozionali.
Non un puro fantasy quindi ma una parabola ascendente, un percorso di “crescita” attraverso l’umiliazione e l’annullamento di se stessi per arrivare a “occupare il proprio posto nel mondo”.
La cornice fantasy, il ragazzo da un altro pianeta forniscono lo spunto per affrontare il tema dell’eroe solitario, dell’emarginato, della solitudine e parlo di quella vera e profonda, la solitudine che scuote con fremiti dal profondo di un animo lacerato.
Inoltre il romanzo in questione è una metafora del “prima, durante e dopo” una delle innumerevoli prove che la vita ci pone dinanzi ogni giorno (da un semplice esame all'Università a prove ben più difficili e dolorose quali una malattia per esempio): l’angoscia e il tormento del “prima”, la sofferenza del “durante” e il sollievo e premio del “dopo”.




Stay tuned

© Flavia Cantini

sabato 19 ottobre 2013

"Ho visto Louis salutarci dal porto"



Ecco l'inizio del mio racconto breve "Ho visto Louis salutarci dal porto" che verrà inserito nell'Antologia del Concorso IoRacconto 2013.



"La pioggia batteva con insistenza quella sera, sull'asfalto, sulle case, sulla città addormentata e immersa in una quiete quasi innaturale; la nebbia si alzava in lontananza, dove il fiume incontra il mare, e presto, con il suo fumoso velo, avrebbe nascosto alla vista ogni angolo, ogni luogo e reso incerto il cammino ai pochi che si trovavano fuori a quell’ora ormai tarda.
Io e Anthony camminavamo con passo svelto e le mani in tasca, stretti nei nostri cappotti, curvi a fissare l’asfalto per evitare almeno la fastidiosa pioggia negli occhi; non avevamo scambiato ancora una parola e non eravamo dell’umore giusto per fare chissà quali discorsi.
Dannazione! Potevi almeno portare un ombrello!” sbottai all’improvviso mentre, nervosi, acceleravamo il passo.
E tu? Non potevi ricordartelo tu?” mi rispose Anthony con tono seccato, continuando a guardare a terra.
Lente carrozze e poche auto, ancora una curiosa novità, passavano alla nostra sinistra, senza alcun riguardo per noi e più di una volta ci bagnarono, forse con intenzione.
Poi, finalmente, dopo pochi minuti, ecco il porto là dopo la curva; scendemmo lungo una scalinata di legno, ripida e pericolante, e ci ritrovammo immersi nella vita dei marinai: barche e navi attraccate che sembravano danzare assecondando il moto delle onde sempre più alte, il profumo intenso di salsedine, il mare minaccioso e, a destra, le taverne della vecchia darsena, ritrovo dell’umanità più disparata."


© Flavia Cantini

mercoledì 16 ottobre 2013

Antologia "Il Viaggio" include un mio racconto



L'antologia letteraria "Il Viaggio metafora di vita" realizzata, a seguito del Premio Nazionale La Luna e Il drago V Edizione, dal Caffè Letterario La Luna e il Drago, contiene anche un mio racconto breve selezionato durante il concorso.

Il mio racconto breve si intitola "Panico" e lo trovate a a pagina 105.

Si tratta di un breve racconto che parla di un viaggio speciale, un viaggio all'interno di se stessi in compagnia dell'angoscia per poi risalire vittoriosi e essere pronti a intraprendere un altro viaggio, reale questa volta, per realizzare la propria vita.


Il link all'antologia: 
http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=1030097
e sua descrizione: 
Viaggio tra i ricordi,nel tempo passato o in futuro immaginato, nella nostalgia di tempi lontani come nella realtà di ogni giorno in un percorso già fatto o ancora da fare tra incontri, esperienze, addii, arrivi e partenze. Viaggio visionario nel tempo e nello spazio alla ricerca di altre realtà e altri mondi.Viaggio introspettivo alla ricerca di se stessi.



Il mio rapporto con la scrittura


Ecco come ho cercato di condensare, in poche righe, il mio rapporto con la Scrittura:


Il mio rapporto con la scrittura è viscerale, è qualcosa che mi viene da dentro, una sorta di urgenza, di chiamata da parte di una storia e dei personaggi a fare sì che, attraverso il mio intervento creativo, possano vedere la luce.
Ho la passione per la scrittura nel sangue, è una grande soddisfazione, è lasciare libera di volare la grande fantasia che ho, di immaginare e di creare situazioni che, senza di me, non potrebbero esistere.
I primi racconti li scrivevo già a sei anni, non passa quasi giorno senza che io scriva, appunti qualcosa, anche soltanto una semplice frase che mi viene alla mente e che, poi, potrà magari servirmi per strutturare una nuova storia.
La scrittura per me è un fuoco che mi brucia dentro e che non si placa fintanto che non ho portato a termine il racconto o il romanzo.

Amo la scrittura, è un rapporto d’amore direi, un senso di appartenenza l’una all’altra, io appartengo alla scrittura come lei appartiene a me.


© Flavia Cantini

Contratto editoriale nuovo di zecca




Ecco il Contratto editoriale ricevuto per il mio romanzo fantasy dal titolo Esiliato sulla Terra e future opere :)